Mercato

Per parlarne tecnicamente –e forse è questa l’unica maniera ‘seria’ di parlarne– occorrerebbe avere delle competenze specifiche che nessuno di noi del CMC possiede. Ne consegue che faremmo bene a tacere sull’argomento. Poiché tuttavia il modello mercato pervade ormai quasi tutti gli aspetti della quotidianità e di questa siamo tutti partecipi, si deve riconoscere a ognuno il diritto di parteciparvi non solo come elemento passivo utile al funzionamento del modello, ma anche come osservatore critico in cerca di alternative.

Non parleremo quindi del mercato dal punto di vista tecnico (dove non saremmo ‘seriamente’ credibili), accenneremo soltanto ad alcune ‘condizioni al contorno’ che ci sembrano accessibili anche a chi non se ne intende.

Il mercato è oggi quasi sinonimo di concorrenza e si presenta sostanzialmente come uno strumento di crescita produttiva provvisto di un meccanismo di retroazione che ne impedisce l’esplosione incontrollata. Questo meccanismo, il cui funzionamento è peraltro ostacolato da altri meccanismi al servizio di interessi particolari (come per esempio il costituirsi di situazioni di monopolio), non mira all’omeostasi, cioè al consolidarsi di un equilibrio stabile nel tempo, ma all’omeoresi, cioè a un accrescimento frenato ma non impedito. Ci dicono gli studi ecologici (sullambiente) che già il permanere dell’attuale condizione produttiva sarebbe insostenibile per il nostro pianeta oltreché per buona parte dei suoi abitanti (umani inclusi); un’ulteriore crescita, soprattutto sperequata come oggi la vediamo, ci avvicinerebbe a un punto di non ritorno, al di là del quale l’estinzione –forse non solo nostra– sarebbe solo questione di (poco) tempo. Non possiamo essere certi che questa valutazione colga nel segno; potrebbero per esempio prodursi innovazioni tecnologiche che allunghino (di quanto?) i tempi di ulteriore crescita della produttività. Vogliamo correre il rischio?

Le alternative sono due

· accontentarci dello status quo, cioè dell’omeostasi,

· rassegnarci a una contrazione della produttività, alla sua decrescita.

Nella prima –il perseguimento dell’omeostasi– il problema principale sarebbe la redistribuzione della ricchezza e del welfare, cosí da agganciare l’omeostasi produttiva alla parificazione dei diritti (una sorta di società comunista).

Nella seconda –la decrescita produttiva– il problema principale consisterebbe nel convincere chi produce a produrre –e quindi a guadagnare– di meno senza scaricare il mancato profitto sulle spalle di chi profitto non ne ha.

Per ambedue le alternative è necessaria una ‘rivoluzione culturale’ incruenta, da iniziarsi sui banchi di scuola, una rivoluzione che sposti l’asse educativo dalla ‘patrimonializzazione del sapere’ all’esercizio –altrimenti indirizzato– della mente. Rivalutazione del sapere come motore del pensiero; non concorrenzialità tra i cervelli, ma sinergia ai fini della sopravvivenza.

1 commento:

Anonimo ha detto...

grande Boris!