Coscienza

È parola affine a consapevolezza, ma, nell'uso comune, non coincidente. La circonda infatti un'aura connotativa che si potrebbe dire ‘moralistica’.

"È una persona senza coscienza".

"Devi essere cosciente delle tue azioni".

"La coscienza di essere italiano (turco, giapponese ...)".

"Fare l'elemosina è uno sgravio di coscienza".

Non è un caso che al termine 'coscienza' si possono associare aggettivi che difficilmente si userebbero per 'consapevolezza':
  • coscienza pulita
  • coscienza nazionale
  • coscienza elastica
  • cattiva coscienza.

Da dove viene quest'aura moralistica?

Anzitutto proprio dalla morale stessa che tende a dirigere il comportamento degli individui senza troppo curarsi della loro consapevolezza. Poi dalle religioni che a loro volta tendono ad appropriarsi della morale, pur non avendone il diritto. O ancora dal potere, sia laico che religioso, che aspira a far suo il diritto al ‘giudizio morale', infine dall'uomo stesso che trova dentro di sé la 'legge morale' (Kant), e la trova appunto nella coscienza di essere uomo.
Morale, dunque, invasiva al massimo grado, ma di cui l'uomo non è del tutto consapevole. Cercandone le radici nella morale stessa (che si autofonderebbe) o nella religione, o nel potere o nella struttura antropologica della specie umana, finisce per trascurare l'origine più probabile: il consenso sociale, culturale ai fini della sopravvivenza.

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