Ripetizione

Una canzone ripete il suo ritornello: due, tre, quattro volte. E noi continuiamo a ripeterlo canticchiando o anche solo pensandolo. La ripetizione scava un solco nella memoria, sempre più profondo e ci piace camminarci dentro, ritrovare o riprodurre il già noto. La ripetizione ci rassicura, esorcizza il tempo che passa, ci illude di eternità ...

Ma esistono le ripetizioni, o meglio sono uguali tra loro?

Una canzone che oggi ci fa felici domani nel ricordo ci rattrista. È sempre la stessa canzone?

“Se hai ripetuto il vero sei un bugiardo” sta scritto da qualche parte in un antico libro di saggezza cinese. “Non puoi fare due volte il bagno nello stesso fiume” ha detto un greco. Una musica ripetuta non è la stessa musica perché occupa un tempo diverso. E anche per l’ascoltatore non può essere la stessa: al primo ascolto è una novità, al secondo un ricordo, dal terzo in poi subentra l’assuefazione, l’abitudine, e a mano a mano l’oggetto scompare e resta solo il condizionamento, il ‘non poterne più fare a meno’.

Ma, se così stanno le cose, come mai la ripetizione passiva praticata dalla ‘musica di consumo’ (ma non solo da quella), trova così ampio consenso? Lasciamo ai lettori e ai ‘consumatori’ di musica il compito di riflettere, se lo vorranno, su quanto qui detto da un anziano compositore, a cominciare da quel “se così stanno le cose” che va anzitutto verificato. L’anziano compositore è probabilmente un ‘uomo di parte’ e la parte che lo vede schierato potrebbe non essere quella cui lui si rivolge.

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