Felicità

Si dice che sia un diritto di tutti. Ma è la vita stessa a non riconoscerlo a tutti. Forse è un diritto aspirare alla felicità. E allora dovrebbe essere un dovere concederla. Un dovere – per chi, se neppure chi (dicono) potrebbe, non la concede?

Sarebbe già molto se gli uomini la smettessero di seminare infelicità. Ma siccome sembra che al mondo la felicità disponibile sia poca, chi ce l’ha –o crede di averla– se la tiene ben stretta e lascia l’infelicità agli altri. Ma che cosa è questa felicità? e che cosa la produce?

Si può essere felici davanti a un piatto di pasta asciutta o a un bicchiere di vino; essere felici per uno scampato pericolo, per una vincita alla lotteria o per un sì dell’amata o dell’amato. Evidentemente non sono le cose o le circostanze il ‘contenuto’ della felicità; tutt’al più ne sono la causa. Perché, la felicità ha una causa? Ma se non è che uno stato d’animo? Appunto, prodotto da una causa. Un bambino gioca felice sulla sabbia. Diremo che la sabbia è la ‘causa’ della sua felicità?

Si può essere felici –o infelici– anche senza una causa. E una cosa che ieri ci avrebbe fatto felici oggi non può più!

“I soldi non fanno la felicità”. Ma la loro mancanza può renderci infelici. Forse felicità e infelicità sono, almeno in parte, un prodotto nostro e le circostanze esterne non possono che interferire positivamente o negativamente con questa produzione. Ci si può esercitare alla felicità. Più che riceverla in dono, possiamo imparare a costruirla. Per noi e per altri. Non sarà forse un diritto, ma è una possibilità.

Nessun commento: