Onestà

Sul concetto di ‘onestà’ c’è un accordo abbastanza ampio: un truffatore non è considerato un campione di onestà. Eppure ‘un uomo onesto’ non è l’esatto equivalente di una ‘donna onesta’. A stabilire il significato di ‘onestà’ contribuiscono le leggi e le abitudini del luogo, ma anche le convinzioni personali. Una prostituta onestissima può essere giudicata disonesta a priori, per mestiere che fa, mentre un affarista che si sia arricchito sulla pelle degli altri resta ‘persona onestissima’ fin quando non sia incappato in qualche articolo della legge. Spesso entra in gioco anche la morale. Questa è in genere più elastica delle leggi: rubare i ricchi per donare ai poveri è certamente contro la legge, ma moralmente meno condannabile del contrario, che viene peraltro praticato su larga scala (per esempio dai paesi ricchi nei confronti di quelli poveri), senza che la legge abbia nulla da eccepire.

A tutela dell’onestà, se questa è una virtù, non è quindi sufficiente richiamarsi alle leggi. Un’abile avvocato riesce assai spesso a tirar fuori di impaccio un abile imbroglione. Lo diremo suo complice per questo? No di certo: l’avvocato fa il suo mestiere in piena onestà, e, se riesce a vincere la causa, anche l’imbroglione risulterà aver fatto onestamente il suo. E allora, come distinguere onestà da disonestà?

Si dirà: in base al ‘senso morale’, che, per elastico che sia, è forse più affidabile del rigido formalismo legale.

Ho poc’anzi messo in dubbio che l’onestà sia una virtù. Si può essere onesti per educazione ricevuta o per abitudine. Socialmente parlando non contano le ragioni della tua onestà, purché tu sia onesto. “Vieni, andiamo a svaligiare una banca!” “No.” “Perché?” “Perché ho paura.”

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